#lePAROLEcheSENTO – Il nostro cervello, mentre pensa, sente anche

Ti capita mai di leggere degli articoli che ti rimangono in testa per giorni? Libri che cambiano la tua visione delle cose?

“Le parole che SENTO” è uno spazio di condivisione di testi per noi significativi, che risuonano con il nostro essere educatori e il nostro vivere e far vivere l’arte.


Ci hanno abituato a pensare che per poter essere bravi in una materia bisogna essere “portati” per essa. Da adulto poi ripensi alla tua carriera scolastica e ti rendi conto che il successo in certi ambiti non era dato tanto da quanto tu fossi talentuoso ma da quanto l’insegnante di quella materia era riuscito ad accendere in te la passione per ciò che insegnava.

Ebbene, in questo breve testo tratto da “Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere” di Daniela Lucangeli, l’autrice ci spiega in modo semplice ma scientifico l’importanza di aprire a emozioni positive durante l’apprendimento.


Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere

di D. Lucangeli

Le emozioni scrivono nella nostra memoria

Negli ultimi anni si è sviluppato un nuovo filone di ricerca scientifica, focalizzato proprio sullo studio del rapporto fra cognizione ed emozioni, a cui è stato dato il nome di warm cognition, letteralmente cognizione calda. Ebbene, dagli studi recenti condotti in quest’ambito è risultato chiaro che non ha senso interpretare le funzioni dell’emisfero sinistro e di quello destro come separate, o come se codificassero in modo differente informazioni cognitive ed emotive (immaginando l’emisfero sinistro a pilotare la macchina).

Le ricerche di neuroimmagine (una metodologia che si usa per ottenere una rappresentazione del funzionamento sistema nervoso) sono infatti in grado di mostrarci» la sinfonia dei nostri straordinari circuiti: flussi sincronici di qualità distinte, pensieri, emozioni e sentimenti… in un continuo scorrere l’uno nell’altro. Nell’intero circuito nostro cervello le funzioni si attivano insomma in sincronia e diacronia, quindi a ogni attività cognitiva corrisponde un tracciato emozionale: il nostro cervello, mentre pensa, sente anche. Cosa sente? Cercherò di spiegarlo.

Il meccanismo della ricerca

Ai miei studenti la racconto cosi: il nostro cervello è come un “ribollitore” che produce e consuma energia biochimica. Questa energia è correlata a flussi neurolettici: quando dormiamo produciamo flussi di bassa frequenza (0,1-7.9 hertz); quando siamo svegli, onde di almeno 9 hertz.

E quando ci emozioniamo?

Possiamo immaginare le emozioni come variazioni improvvise di flusso; io per descriverle parlo spesso di «picchi hertziani, riferendomi all’attivazione di circuiti complessi.

Le emozioni sono, dunque, corrente neuroelettrica, ed essa lascia una traccia: scrive nella nostra memoria.

Faccio subito un esempio di come funziona. Un alto carico di apprendimento e di studio spesso genera momenti di stanchezza; tuttavia basta una goccia di emozione, data dal sorriso del compagno, dall’incoraggiamento delle figure significative, per far ripartire il sistema: riattivare il ritmo cardiaco e quello respiratorio, modificare il colore della pelle, come anche l’atteggiamento del viso e la disponibilità all’ascolto.

La nostra evoluzione ha ritenuto vincente che le reazioni prodotte sul nostro organismo dalle emozioni positive fossero intense, per indurci a continuare a ricordare le cose che ci fanno sentire bene. È in questo modo che si innesca il meccanismo di ricerca: provo una soddisfazione intensa, quindi ne cerco ancora.

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Il ruolo delle emozioni mentre impariamo

Quando proviamo un’emozione, lo stimolo viene elaborato in prima istanza dai centri sottocorticali dell’encefalo (l’amigdala) e provoca una prima reazione neuroendocrina che ha la funzione di mettere in allerta l’organismo. In questa fase l’emozione determina diverse modificazioni nel nostro corpo: per esempio variazioni delle pulsazioni cardiache, aumento o diminuzione della sudorazione. Cosa succede invece nelle nostre memorie? E cosa capita, in particolare, quando l’emozione che sperimentiamo è legata in modo diretto a un processo cognitivo, come l’imparare qualcosa a scuola?

Facciamo un esempio. Se mentre imparo la tabellina del 7 sperimento la fiducia del mio insegnante nelle mie capacità, io metto in memoria sia quello che lui mi ha insegnato, sia la sua fiducia; ogni volta che «riapro il cassetto della memoria» che contiene la tabellina del 7, riprendo anche la sua fiducia, che mi dà incoraggiamento. Se invece mi sento sotto giudizio, penso che «tanto non sono capace» di imparare la tabellina e dico che 7×7 fa 47, oltre a fare un errore di calcolo vivo uno stato mentale di sofferenza che ha a che fare con il meccanismo dell’impotenza appresa. Imparo un concetto e nello stesso momento sperimento paura e senso di inadeguatezza: ogni volta che riapro quel «cassetto della memoria», evoco entrambe le cose. Le mie emozioni hanno scritto nella mia memoria l’informazione: «Questa situazione ti fa stare male, evitala!».

La paura dell’errore

Se gli errori che i bambini compiono a scuola causano dolore, perché accompagnati da emozioni sgradite, l’alert che si stabilisce nella loro memoria è «Scappa», non è «Affronta l’errore e modificalo».

Questo è il meccanismo che si attiva quando gli studenti apprendono e stanno male. Le nozioni si fissano nel cervello insieme alle emozioni: se un bambino impara con curiosità e gioia, la lezione si inciderà nella memoria insieme alla curiosità e alla gioia. Se impara con noia, paura, ansia, si attiverà l’alert: la risposta della mente trasmetterà il messaggio «Scappa da qui, perché ti fa male».

Avere in memoria la traccia non solo dell’informazione studiata, ma anche dell’emozione di paura associata al momento dell’apprendimento genera un vero e proprio cortocircuito: il bambino ritrova quello che ha memorizzato a livello di conoscenza, ma anche l’emozione che lo invita a starne lontano.

Dunque un sistema di apprendimento basato sull’avere paura degli errori, dell’insegnante o della verifica produce un cortocircuito. Tutto quello che il bimbo impara con paura, ansia, angoscia, genera delle memorie che lo tengono in costante allerta.

Oltre alla paura, altre emozioni di alert che interferiscono con i circuiti dell’apprendimento sono la vergogna e il senso di colpa. Se la paura dice al cervello «Scappa da lì!», la vergogna dice «Non sei all’altezza» e la colpa dice: «Colui che è significativo per te non ti stima». Il meccanismo della colpa, in particolare, funziona in questo modo: il bimbo fallisce; l’insegnante attribuisce a lui la responsabilità del fallimento. Si tratta di un sistema di deresponsabilizzazione, un atto interpretativo speculare per cui l’insegnante, evitando di assumersi la responsabilità, la fa ricadere sull’allievo. Purtroppo a me sembra che la colpa e la paura siano emozioni alla base del nostro sistema educativo. Bisognerebbe, però, ricordare che esse sono anche alla base di un atteggiamento di fuga e rifiuto.

L’insegnante alleato

L’antagonista della paura e della colpa è il diritto di sbagliare: il bimbo e l’adulto in questo caso sono alleati contro l’errore, lavorano insieme nella stessa direzione, con l’allievo che viene aiutato dal maestro. Un altro grande antagonista della paura è il coraggio. Quella del coraggio è una sensazione sostenuta da diversi meccanismi: il senso di alleanza, l’impressione di non essere soli, il desiderio di vincere l’ostacolo. È ciò che, di fronte a una reazione di timore, consente di attivare le proprie risorse per affrontare una difficoltà e superarla. Chi vuole aiutare un bambino in pena deve quindi riuscire a infondergli coraggio.

Apprendimento e impotenza appresa

Poco sopra ho accennato al concetto di impotenza appresa. Più nello specifico si può affermare che le esperienze scolastiche negative generino un cortocircuito emozionale tale da indurre un insieme di pensieri ed emozioni (definiti appunto di impotenza appresa) capace di inceppare l’apprendimento.

Ciò significa che quando uno studente nel commettere uno sbaglio riconduce il proprio fallimento alla propria incapacità, e percepisce la situazione fuori dal proprio controllo, sente che non puo fare niente per cambiare le cose e quindi si blocca: non riesce più a imparare. Un meccanismo psicologico produce un blocco nei circuiti di attivazione neurofunzionale. Ecco la potenza delle emozioni a scuola!Cosa possiamo fare per evitare tutto questo? Come si rende meno faticoso possibile uno sforzo dispendioso come lo studio? Con un’emozione positiva. Ho descritto il cervello come un ribollitore biochimico: ebbene, basta una scintilla di emozione su una stanchezza sostanziale — un sorriso, una barzelletta, una storia appassionante, una carezza — ed ecco che l’amigdala, piccolo nucleo sottocorticale facente parte del sistema limbico, avvia un meccanismo emotivo che riattiva il sistema.